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Giuseppe Verdi - Rigoletto - Quartetto d’Archi della Scala -...
[Hi-Res Audio] Giuseppe Verdi, Dal “Rigoletto” riduzione per quartetto d’ archi
Quartetto in MI Minore / Quartetto d’Archi della Scala
TRACKLIST
Sonata n.8 per pianoforte in re minore (dal manoscritto del 1898)
1. Adagio. Allegro 8’32’’
2. Scherzo (Allegro molto). Trio (Etwas langsamer) 3’28’’
3. Andante 6’29’’
4. Molto Adagio (in tempo di marcia). Allegretto 4’57’’
Sonata n.1 per violino e pianoforte in la minore
5. Allegro non troppo. Andante. Tempo I 21’45’’
Più allegro
Andante espressivo
Allegro con brio. Andante espressivo. Tempo I. Presto
Trio n.1 in fa maggiore per violino, violoncello e pianoforte op.4ù
6. Adagio. Minore (Allegretto) 6’22’’
Tema e Variazioni:
Tema (Allegretto)
Var. 1
Var. 2
Var. 3
Var. 4 Minore
Var. 5 Maggiore. Prestissimo
Durata Totale 52'00''
Ideato, registrato e prodotto da Giulio Cesare Ricci
Assistente alla registrazione: Paola Maria Ricci
Registrato al Teatro Comunale di Ferrara
Data di registrazione: 28 - 29novembre 1998
Attrezzatura:
microfoni a valvole: Neumann U 47, M49
preamplificatori microfonici: Nagra
registratori analogici: Studer C37 (1950), Nagra 4S
registratori digitali 20 bit: Nakamichi 1000
cavi microfonici, digitali e linea: Signoricci
Furtwängler la grandezza della semplicità
Furtwängler fu, quello che si dice, un bambino prodigio. Il suo acceso interesse per la composizione apparve evidente fin dai primi anni di formazione e da subito emersero quegli elementi di curiosità, di desiderio di conoscenza, di spirito critico (anche verso sé stesso) che lo portarono ad essere uno dei personaggi più emblematici del Novecento musicale.
I suoi primi lavori furono dedicati al pianoforte: una cinquantina di piccoli pezzi. scritti fra il 1893 e il 1895 e raccolti dalla madre in tre volumi manoscritti (Kompositionen von Wily Furtwängler, vol. I-II, e Verschiedenen Kompositionenfür Klavier von Wilhelm Furtwängler mi Alter von 8-9 Jahren), che testimoniano una precoce abilità nel trattamento della materia musicale. Gli anni immediatamente successivi (dal 1896 al 1901) vedono già alla creazione di opere compiute sia dal punto di vista formale sia nelle modalità espressive: le Sonate (per pianoforte, violino, violoncello), i Trii (con e senza pianoforte), i Quartetti, veri e propri esempi di raffinatezza stilistica ed efficacia comunicativa. Nei primi decenni del nuovo secolo nascono invece le grandi produzioni orchestrali: le Tre Sinfonie, il Concerto Sinfonico, il Te Deum. Se quest'ultimo repertorio ha conosciuto una certa diffusione ed esecuzioni prestigiose (quelle di Alfred Walter e Wolfgang Sawallisch per le Sinfonie, quella di Zubin Mehta e Daniel Barenboim per li Concerto Sinfonico, quelladi Hans Chemin-Petit per il Te Deum), tutta la prima produzione invece è ancora inedita e pochissimi sono i casi in cui tali lavori sono stati presentati al pubblico (significativo in questo senso fu il concerto che is tenne a Londra il 12 gennaio 1986 quando, in occasione del centenario della nascita, Robert Rivard eseguì per la prima volta un gruppo di composizioni per pianoforte solo fra cui la Sonata in do minore, il Tema con variazioni, le due Fughe, due Fantasie e i Tre Klavierstucke).
D’altra parte, l'attività compositiva di Furtwängler fu oggetto di polemiche e di ripensamenti fin dagli esordi. Il berlinese si trovava ad agire in uno dei periodi più "destabilizzanti" dell'intera storia della musica; lo smantellamento progressivo del
linguaggio romantico, una speculazione teorica sempre più condizionante, una mutata condizione dell'artista all'interno della società erano tutti elementi che esigevano un confronto tanto ineluttabile quanto problematico.
Furtwängler è diviso fra una tradizione che non è ancora "passato" e un presente che non è ancora "futuro".
La sua doppia attività gli consentì, in un certo senso, di superare il conflitto: come compositore scelse la strada dell'adesione al modello romantico, mentre come direttore d'orchestra fu attento alle nuove esperienze che si affacciavano sulla scena internazionale. Nel 1932 fu eletto primo Presidente della Società Internazionale di Musica Contemporanea, diresse a Berlino la prima esecuzione tedesca de Le Sacre du Printemps di Stravinskii, tenne a battesimo le Variazioni per orchestra op. 31 di Schoenberg, difese Hindemith dalla censura del governo nazista.
I suoi lavori furono naturalmente tacciati di anacronismo e l'insuccesso delle prime esecuzioni "pubbliche" lo convinse ad una parziale rinuncia dell'attività compositiva (ripresa solo negli ultimi anni della sua vita) a favore di quella direttoriale.
Si sentiva, come ebbe modo di dire lui stesso, "contro li tempo", lontano da un linguaggio che diventava sempre più elitario, sempre più intellettuale, a scapito di quell'emozione diretta e istintiva che la musica, qualunque tipo di musica, dovrebbe avere sull'ascoltatore.
"La musica si rivolge agli uomini, a un pubblico, non a un gruppo di cosiddetti competenti o esperti. Sia detto in tutta modestia: come artista, mi è impossibile rinunciare a ciò che ai miei occhi è davvero decisivo, al valore universale dell'espressione. Mi sembra che soltanto là dove questo principio finisce, cominci quell'individualismo che oggi è dovunque all'opera come affossatore della nostra arte".
Furtwängler era cioè convinto che un'opera d'arte, per essere tale, dovesse avere un "valore assoluto", indipendente dalle teorie sottese o dalle tecniche utilizzate; alla genialità è capace di esprimersi anche all'interno di schemi tradizionali, anzi, alla genialità sta proprio nella capacità di utilizzare tali schemi in una dimensione contemporaneamente unica e collettiva.
Egli chiamava tutto ciò "vivere l'arte", e bene si comprende come ni questa sua elaborazione concettuale non potessero trovare spazio vacui sperimentalismi o eccentrici personalismi.
"Fatto sta, invece, che noi oggi - discutibile virtù del nostro tempo - abbiamo musica che viene eseguita e musica che viene lodata, musica che risuona nelle sale di concerto e nei teatri d'opera e musica che viene discussa sui giornali e sulle riviste,
musica che viene presa sul serio nella pratica, e musica che lo è soltanto in teoria. E noi artisti siamo anche costretti, purtroppo, a prendere sul serio questo stato di cose".
Ma la sua convinta adesione all'eredità romantica non cedeva né ai ricordi né ai rimpianti: si trattava di un umile e rispettoso "inchino" di fronte a un linguaggio musicale che negli ultimi due secoli aveva prodotto capolavori ineguagliabili.
"Il coraggio non ci vuole per osare le più assurde concatenazioni, che vengono anche chiamate ardite: ci vuole coraggio, invece, e molto coraggio, per mettere giù anche un solo semplice accordo, una frase maturata con semplicità. La legge non scritta di esprimere con naturalezza quello che si ha da dire, che da centinaia d'anni ha rappresentato il fondamento di ogni vera volontà di creazione musicale, sembra aver perduto oggi il suo valore. Tanto può sembrare superfluo il ripetere e il riscrivere cose già dette e scritte (eppure questa è la condanna di tutti gli epigoni), altrettanto inutile è il culto del mai prima esistito, della novità fine a sé stessa, di ciò che è assolutamente originale. Abbiamo compreso che l'originalità dell'opera d'arte non sta in qualche attributo, o tratto caratteristico, in particolari e singoli effetti, che hanno bisogno di avere luogo e ragione in un insieme, per resistere nel tempo e rimanere vivi. Il problema più difficile non è quindi di escogitare il nuovo, anche se questa esigenza rimane sempre attuale, ma di riuscire a costruire un insieme".
Egli rimaneva sgomento di fronte a quella strada che stava portando alla progressiva dissoluzione i nessi dialettico-strutturali della musica tradizionale, fondati sull'idea tematica e sulla funzione aggregante della tonalità.
"La tonalità ha due modi per divenire realtà in musica. Il primo è in senso stretto, come interrelazione diretta di singole note o armonie. Essa conferisce a questa interrelazione carattere, valore e proprietà, dà alle singole successioni li "colore locale ". Intesa, in questo senso, come “bel suono”, essa è il mezzo del musicista, è alla materia, e soggiace perciò alla legge del logoramento della materia. Il suo rifiuto da parte dei giovani, ormai da due generazioni, non è ingiustificato. Accanto a questa, però, alla tonalità, quale si manifesta nella «cadenza», ha ancora un'altra funzione: rende possibile alla musica di costruire una "forma", è l'elemento strutturante che conferisce "forma" al brano musicale, gli consente di trarre da sé stesso principio, svolgimento e fine. Qui, nella sua funzione di supporto della forma organicamente maturata, la tonalità non si logora come l'esperienza conferma. Non si può logorare, proprio perché essa è il vivente sostegno di una funzione organica. Poiché noi stessi siamo organismi, e le leggi della vita organica sono le nostre proprie leggi. Siamo ad esse legati. Partendo da questa doppia funzione della tonalità, si spiegano le sue contraddizioni, e perché una volta sembri superata e morta, e l'altra volta nuova e fresca come il giorno che sorge; perché la stessa frase, che in un epigono sa di morto e di semi putrefatto, in un maestro riesce a portare il cielo in terra. Se noi non abbiamo finora percepito a sufficienza questa differenza (che l'evoluzione musicale degli ultimi anni può solo confermare) ciò è dovuto al fatto che non abbiamo prestato la dovuta attenzione al significato e all'essenza dell'organico divenire nella musica, che non gli abbiamo attribuito la dovuta importanza".
Sono queste le idee, le considerazioni, i principi che costituiscono la base del suo modo di comporre: una fedeltà consapevole verso l'esperienza classico-romantica, la ricerca di una sinergia fra "semplicità" formale e contenuti espressivi, la profonda convinzione del valore "comunitario" dell'esperienza artistica. Ed è in questo solco che vanno lette le sue composizioni, sia quelle giovanili (fortemente influenzate dal modello beethoveniano, che peraltro rimarrà sempre il più amato) sia quelle della maturità.
La Sonata n.8 per pianoforte in re minore fu composta nel febbraio del 1898, all'età di 12 anni. I tratti distintivi di tale lavoro rivelano già una forte determinazione d'intenti: la scrittura è sicura, la conoscenza formale perfetta, l'invenzione melodica incredibilmente spontanea.
Pensata in quattro movimenti, tutta la composizione si snoda nel più rigoroso rispetto della forma-sonata.
L'apertura è affidata a poche battute di un malinconico e struggente Adagio sul quale si innesta subito li tema principale dell'Allegro. L'esposizione si alterna fra al ritmica incisività del primo tema dell’intimità meditativa del secondo; il fluire del discorsosi infrange poi sulla inaspettata ripresa dell’Adagio iniziale in una sorta di circolarità anche emotiva. L'elaborazione si sviluppa in un crescendo incalzante che sfocia nella drammatica tensione del finale.
Il secondo movimento è il classico Scherzo con Trio; l'Allegro molto è in tempo Ternario in forma di rondò, dove, all'energica potenza della parte A, fa da contrasto la dolce cantabilità della sezione B che, dopo un brevissimo accenno iniziale, si distende nella sua compiutezza. Il Trio si erge isolato, con incantevole e aggraziata liricità.
Il successivo Andante inizia con dei leggerissimi ribattuti accordali sui quali si innesta una melodia semplice, linearmente "classica". Il brano si anima solo un poco per poi tornare ad una serena e "pastorale" contemplazione. Il Finale inizia anch'esso con una introduzione lenta che riprende li carattere iniziale della Sonata: l'indicazione agogica "in tempo di marcia" è indicativa di un mesto andamento processionale che però si conclude nel veloce e spensierato Allegretto.
In realtà tutta alla composizione si articola ni una ricorrente dialettica fra gli opposti: maggiore e minore, serenità e dramma, liricità e tensione, ni una continuità espressiva di indubbio fascino.
La Sonata n. 1per violino e pianoforte ni la minore è anch'essa degli anni '98/99. Dal punto di vista formale si assiste ad una libertà maggiore rispetto alla Sonata per pianoforte; anche in questo caso i movimenti sono quattro ma strutturalmente più articolati e complessi. Nel lungo primo tempo (tripartito in un Allegro non troppo- Andante - Tempo 1) i temi si alternano, si rincorrono, si sovrappongono ni un dilagare incessante. Indiscusso e appassionato protagonista è il violino, che Furtwängler utilizza qui nella sua accezione più "romantica" lasciando al pianoforte la discrezione di un raffinato accompagnamento. Sotto l'indicazione di Più allegro si nasconde una breve ma briosa danza, a cui fa seguito però, con l'Andante espressivo, un immediato ritorno all'atmosfera sentimentale. L’ultimo movimento è come il primo, suddiviso in più sezioni: dal trascinante allegro iniziale, al meditativo momento centrale, fino al vorticoso e virtuosistico finale.
Il Trio. n 1 in fa maggiore per violino, violoncello e pianoforte op.4 è leggermente anteriore ai lavori precedenti (risale cioè al '96/97). Per Furtwängler è li primo approccio con una delle più classiche formazioni cameristiche e decide di giocarvi utilizzando un modello anch'esso esemplare, quello delle Variazioni sul tema. Il risultato è una pagina di deliziosa freschezza in cui i tre strumenti, questa volta trattati con sostanziale parità, si sfidano simpaticamente nelle diverse varianti. L'amico Walter Riezler diceva di lui: "Non vi è dubbio, questa musica è al massimo grado contro il suo tempo... La musica di oggi è l'abbandono più radicale che si possa pensare della Sonata. Ma alla fede profonda di Furtwängler è dedicata all'idea della Sonata e a null'altro". E li compositore-direttore gli rispondeva: "Cerco di scrivere in modo semplice, grandioso monumentale, ma mi trovo in contrasto con al maggior parte dei compositori di oggi. Voglio che la mia opera, quando sarà terminata, rappresenti davvero qualcosa di compiuto"
Laura Pietrantoni
Scheda tecnica