- Nuovo
Salvatore Accardo - Best of Violin - Super Audio CD
[Super Audio CD] Salvatore Accardo - Best of Violin
Natural Sound recordings / HiFi Reference / Super Audio CD / DSD / Stereo
Integrale delle opere per pianoforte
Roberto Prosseda
Partita (1926)
I. Preludio 2.27
II. Aria: Calmo con dolcezza 2.58
III. Gavotta (grottesco) Moderato 1.35
IV. Giga: Vivace 1.42
Siciliana e Marcia (1930)
Per pianoforte a 4 mani*
Siciliana: Andantino 1.51
Marcia: Allegro 1.20
Toccata (1933)
Adagio – Presto – Adagio 7.28
Piccola invenzione (1941)
Andantino 0.58
Invenzioni (1944)
I. Presto Volante 1.18
II. Moderato – Più presto 3.02
III. Presto, leggero 1.35
IV. Moderatamente mosso, scorrevole 3.16
V. Andantino, non molto mosso e sereno 4.11
VI. Tranquillo 2.49
VII. Scorrevole 3.20
VIII. Allegretto e grazioso 2.25
Petite pièce (1950)
Allegretto e grazioso con spirito [e comodità] 1.51
Oh les beaux jours! (1976)
I. Bagatelle: Andantino, un poco mosso 3.33
II. Le petit chat (Mirò): Allegro [non presto] 3.32
Conversazione con Goffredo Petrassi 15.37
A cura di Raffaele Pozzi
*& Alessandra Ammara, piano
Durata totale: 1.07.44
GOFFREDO PETRASSI
Integrale delle opere per pianoforte
CD fonè 2049
Ideato, registrato e prodotto da
Giulio Cesare Ricci, Raffaele Pozzi
Assistente alla registrazione Paola Maria Ricci
Registrato a Palazzo Municipale di Ninfa, Giardini di Ninfa (Latina)
Data di registrazione 7 - 11 giugno 2000
Strumento Piano Steinway D n. 520955
Tecnico accordatore Mauro Buccitti
Attrezzatura
microfoni a valvole; Neumann U47, U48 preamplificatori microfonici: Signoricci registratori analogici: Studer C37 (1950), Nagra 4S registratori digitali: Nakamichi 1000 mod. Signoricci cavi microfonici, digitali e linea: Signoricci
Registrazione dal vivo senza montaggi musicali
Foto di copertina: Goffredo Petrassi, Venezia 1940
Si ringrazia la Fondazione "Roffredo Caetani" per la collaborazione prestata e il Dott. Lauro Marchetti per la cortese disponibilità.
PETRASSI "EN BLANC ET NOIR".
Note sull'opera per pianoforte
L'interesse per il pianoforte in Goffredo Petrassi risale ai suoi primi approcci alla musica. Egli stesso ricorda infatti la curiosità suscitatagli da un vecchio strumento viennese datato 1826, coevo dunque di Beethoven, che si trovava in casa di uno zio a Zagarolo, il piccolo paese dell'agro romano dove il compositore nasce il 16 luglio 1904. Trasferitosi a Roma all'età di sette anni, Petrassi entra nella Schola Cantorum di San Salvatore in Lauro. L'esperienza di fanciullo cantore, che proseguiva nel solco dell'antica tradizione formativa dei musicisti delle cappelle papali, rappresenta, come è noto, un sedimento spirituale e musicale della massima importanza per il futuro compositore. Gli sviluppi di queste premesse sono tuttavia ancora lontani. Terminata con la muta della voce l'attività di corista, Petrassi, di famiglia dalle risorse economiche modeste, inizia a lavorare a quindici anni in un negozio di musica come commesso. Il negozio rilevato successivamente dalla FIP (Fabbrica Italiana Pianoforti) di Torino, di cui era amministratore delegato Guido Maggiorino Gatti, autorevole organizzatore e critico musicale italiano del tempo, si trasferì in Corso Umberto, non lontano dal Conservatorio di musica di Santa Cecilia. Lì il giovane aveva modo, nei ritagli di tempo, di leggere spartiti e partiture suonando, da autodidatta, un pianoforte della ditta. Questi suoi sforzi, in particolare applicati alle DeuxArabesques di Claude Debussy, colpirono Alessandro Bustini, all'epoca insegnante di pianoforte in Conservatorio, che gli offrì lezioni domenicali gratuite. Sotto la guida di Bustini Petrassi intraprese dunque studi relativamente regolari di pianoforte, misurandosi con la letteratura canonica dello strumento, dal Clavicembalo ben temperato di Bach a Chopin e Debussy. Nel 1925, su consiglio di Bustini, intraprende gli studi di armonia con Vincenzo Di Donato, mostrando grandi attitudini per la composizione. L'impegno fu così indirizzato verso l'ammissione in Conservatorio nella classe di composizione e lo studio del pianoforte venne accantonato, una volta raggiunta un'accettabile capacità tecnica. Al periodo di apprendistato con Di Donato risalgono le prime composizioni del catalogo di Petrassi: l'Egloga e la Partita, entrambe per pianoforte, composte nel 1926 ed eseguite dalla pianista Letizia Franco nella Sala Sgambati di Roma, durante un saggio pubblico degli allievi di Vincenzo Di Donato il 26 novembre di quello stesso anno. L'Egloga, rimasta inedita, va considerata oggi una composizione perduta. Petrassi ricorda di avervi adottato una scrittura musicale senza stanghette di misura, un ingenuo esperimento giovanile influenzato, a suo dire, dalla lettura di un brano pianistico di Federico Mompou, compositore catalano del Novecento stilisticamente francesizzante. Il titolo della composizione, con il suo richiamo al mondo classico-pastorale, testimonia gli interessi letterari del giovane Petrassi e la sua attenzione per l'area culturale e musicale francese che aleggiava nel milieu romano, tra gli schieramenti contrapposti dei seguaci di Ottorino Respighi, Ildebrando Pizzetti e Alfredo Casella. Né si può escludere un lontano riferimento, magari inconscio, alla celeberrima egloga mallarmeana L'Aprèsmidi d'un faune cui si ispirò Debussy. Allo stesso anno risale la Partita per pianoforte, anch'essa tra le prime composizioni del catalogo petrassiano, che mostra tuttavia il talento non comune dell'allievo. I prestiti stilistici vengono in essa felicemente amalgamati e, se si escludono i tipici limiti di maturità di un lavoro giovanile, l'opera appare nell'insieme gradevole e ben proporzionata. Il titolo Partita ci indica inoltre, già nel 1926, l'adesione di Petrassi a quella estetica neobarocca che fu una delle forme del «ritorno all'antico» così diffuso nelle arti e nella musica in Italia tra le due Guerre. Dietro la scelta formale della Partitaper pianoforte, che precede la ben più personale Partita per orchestra del 1982, si intravede infatti l'ideologia neoclassica di Alfredo Casella. Essa prendeva forma in composizioni coeve quali la Partita del 1925, la Scarlattiana o la Serenata del 1926-27 e influenzò, come è noto, molta produzione musicale italiana tra gli anni Venti e Trenta. L'eclettismo del giovane allievo traspare fin dal Preludio, il primo movimento del pezzo. Le figurazioni toccatistiche, gli stentorei gruppi cadenzali quasi organistici e neobarocchi (Petrassi era anche allievo di organo) lasciano il posto ad una sezione lirica di scrittura chopiniana. In modo analogo, la melodia del secondo movimento, un'Aria dai toni sommessi, crepuscolari e di sapore popolareggiante, verrà ornata chopinianamente. Vale ricordare, per comprendere tali ambientazioni espressive, da una parte le scelte poetiche di Petrassi che nel 1926-27 mette in musica due poesie di Guido Gozzano (Salvezza e La morte del cardellino) e una di Sergio Corazzini (Per organo di barberia); dall'altra, scrive Due liriche su temi della campagna romana, raccoglie e armonizza con Giorgio Nataletti una serie di Canti della campagna romana. Il successivo movimento, Gavotta (grottesco) contrasta con il precedente per il tessuto musicale più acuminato e dissonante. Petrassi accenna un avvicinamento alla modernità attraverso l'estetica caselliana che in opere successive diverrà ancor più palese. Ce lo conferma il quarto movimento della Partita, una Giga scarlattiana che giunge ad una aperta citazione stilistica. Nel 1928 Petrassi, superato l'esame di ammissione, entra nel Conservatorio di Santa Cecilia, nella classe di composizione di Alessandro Bustini. In occasione di un saggio di composizione di conservatorio (1932), nel quale presentò i suoi Tre cori per piccola orchestra, conobbe di persona Alfredo Casella che ne stimò il talento musicale e lo introdusse nel suo circolo musicale.
Quanto l'allievo di composizione fosse già attratto dallo stile di Casella, ben prima del loro primo incontro ufficiale, è fin troppo apertamente dimostrato proprio da un piccolo lavoro per pianoforte a quattro mani: Siciliana e Marcia, del 1930. Il richiamo alla Marcetta d'apertura dei Pupazzetti e alla Siciliana degli 11 pezzi infantili di Casella sembra quasi un esercizio di imitazione stilistica. La successiva Toccata, composta nel marzo del 1933, rivela una situazione esistenziale e creativa di Petrassi nettamente diversa. Terminati in quell'anno gli studi di conservatorio, il compositore lascia il frustrante lavoro di commesso di negozio e si segnala come promettente compositore con la Partita per orchestra. Casella diresse infatti questa composizione ad Amsterdam nel 1933 lanciando Petrassi sulla scena musicale europea. La Toccata per pianoforte del 1933 è dunque tra i primi solidi frutti di un'identità creativa che inizia a delinearsi. Lo dimostrano le scelte compositive che coniugano l'estetica neobarocca di Casella con lo stile di Paul Hindemith. Petrassi unisce dunque lo stile grave e meditativo del primo dei Due Ricercari sul nome "BACH" di Casella del 1932, al modello delle Toccate di Girolamo Frescobaldi (da lui studiate certamente nella classe d'organo), al contrappuntismo di Hindemith. La Toccata si basa infatti su una rigorosa concezione monotematica che elabora con notevole perizia contrappuntistica il soggetto d'inizio. Facendo appello alle risorse armoniche, ritmico-percussive ed alle sonorità piene e chiaroscurate del pianoforte, Petrassi, negli anni Trenta, inserisce lo strumento anche nella sua tavolozza orchestrale. Dalla Passacaglia del 1931 fino al Coro di morti del 1941, le grandi partiture del compositore prevedono tutte la presenza del pianoforte. La poetica neobarocca di Petrassi, che univa in quel periodo gli influssi di Casella con Hindemith e con lo Stravinsky di Oedipus Rex e della Sinfonia di Salmi, assegna dunque, coerentemente con i modelli citati, un ruolo significativo allo strumento. Lo dimostra ulteriormente la composizione di un Concerto per pianoforte e orchestra, scritto tra il 1936 e il 1939, che ebbe la sua prima esecuzione il 10 dicembre del 1939 al Teatro Adriano di Roma, sotto la direzione di Bernardino Molinari, con Walter Gieseking al pianoforte, opera che oggi Petrassi, forse con eccessiva severità, considera un insuccesso. Nel 1941, con Coro di morti, composizione nella quale il colore assegnato ai tre pianoforti gioca un ruolo "drammatico" fondamentale, si avvia un processo di trasformazione dello stile petrassiano che abbandona i toni e i modi neobarocchi degli anni Trenta per una maggiore asciuttezza di tessuto musicale. Nel Coro affiorano infatti le inquietudini e gli interrogativi personali e storici che il precipitare degli eventi bellici determinò in Petrassi. Un significativo segnale premonitore di futuri sviluppi è presente, dal nostro punto di vista, nell'organico del primo lavoro orchestrale degli anni Quaranta, La follia di Orlando del 1943. In questo balletto si noterà infatti come il clavicembalo, per la prima volta, prenda il posto del pianoforte nella partitura, con la evidente funzione di un alleggerimento timbrico e semantico della costruzione. I blocchi armonici, il dinamismo neobarocchi, non privi di una certa solennità poco rispondente al nuovo clima storico, lasciano il campo, in generale, ad una scrittura più lieve. Si inscrivono in questa nuova tendenza due brevi composizioni dei primi anni Quaranta: la Piccola invenzione per pianoforte e l'occasionale Aguidoemmegatti. La Piccola invenzione, datata aprile 1941, la cui scrittura, oltre che il titolo, si richiamano ad uno dei numi della cosiddetta stagione neoclassica: Johann Sebastian Bach. Qui, tuttavia, il richiamo non si traduce in ampollose forme barocche, ma in un esile contrappunto a due voci il cui gioco imitativo è chiaro ripensamento del modello delle Invenzioni a due voci bachiane, magari filtrate attraverso un dépouillement raveliano. Aguidoemmegatti, reca la data del 30 maggio 1942 giorno del cinquantesimo compleanno di Guido Maggiorino Gatti cui il brano è dedicato. Riferendosi con ironia al nome del dedicatario, Petrassi trae il materiale musicale, o meglio il soggetto di questo «Divertimentino scarlattiano largo e stretto, a dritto e rovescio» (come recita il sottotitolo) dalla celebre Fuga in sol minore per clavicembalo di Domenico Scarlatti nota come «Fuga del gatto» per lo strambo profilo melodico del soggetto ispirato al musicista, secondo un noto aneddoto, dal passaggio del suo gatto favorito sulla tastiera. La composizione, il cui manoscritto è rimasto tutt'oggi inedito, verrà sottoposta a revisione con la precedente Piccola invenzione ed entrambe daranno vita, nel 1976, al dittico Oh lesbeaux jours! Con le successive otto Invenzioni Petrassi scrive la sua opera pianistica di maggiore impegno nella quale confluiscono pezzi scritti tra il 1943 e il 1944, poi raccolti e pubblicati nel 1946. La scrittura di massiccio impegno virtuosistico presente nel Concerto del 1939 lascia il posto a trame e figurazioni più aeree, ad una nuova ricerca lessicale e sintattica. Significativa del modo in cui Goffredo Petrassi coniuga continuità e rinnovamento è proprio la prima Invenzione dedicata ai sessant’anni di Alfredo Casella. Il riferimento neobarocco a Bach è qui sottilmente dissimulato e come svuotato, reso lieve dalla estrema velocità del pezzo per il quale Petrassi prescrive un «Presto volante». Tra le righe si coglie la parentela con il Preludio e Fuga in do minore del Clavicembalo ben temperato di Bach. Petrassi vi allude con le alterazioni in chiave, l'andamento agogico, il profilo melodico e ritmico. In generale Bach aleggia nelle Invenzioni non come grande retore barocco, ma come moderno maestro di geometrie contrappuntistiche. In tal senso compaiono ammiccamenti alla scrittura cembalistica bachiana delle Invenzioni a due voci, delle Sinfonie a tre voci o del Clavicembalo ben temperato. Nelle Invenzioni traspare inoltre l'influsso del coevo Ludus Tonalis per pianoforte (1942) di Paul Hindemith. La sesta Invenzione, «Tranquillo» (indicazione agogica ricorrente nel Ludus) ne è un esempio. Dal mondo sonoro del Ludus Tonalis viene tuttavia eliminata l'enfasi e, come accade nella sesta Invenzione, la composizione manifesta in un passaggio il sommesso spleen di talune scarne polifonie di Maurice Ravel. Il tono che affiora nella raccolta, talora pungente e percussivo, talora sognante, richiama con evidenza la scrittura pianistica di Sergei Prokofev. Si noti, in tal senso, il marcato contrasto espressivo tra il «Moderato» e il «Più presto, quasi allegro» della seconda Invenzione. Nella terza Invenzione appare invece l'influenza di Igor Stravinsky. E' evidente come il disegno melodico in raddoppio che apre il pezzo presenti analogie di scrittura con il primo movimento della Sonata per pianoforte del 1924 di Igor Stravinsky (a sua volta ammiccante ad altri precedenti della letteratura pianistica tra i quali il quarto movimento della Sonata op. 35 di Chopin). E' tuttavia essenziale cogliere il mutato rapporto che Petrassi instaura con il modello stravinskiano rispetto agli anni Trenta: l'eloquenza del Salmo IX o del Concerto per pianoforte e orchestra, debitrice di Oedipus Rex, Symphonie de Psaumes o del Capriccio, si frantuma in gesti rapidissimi ed imprevedibili che preannunciano futuri sviluppi del compositore. Petrassi realizza infatti il suo intento antiretorico svuotando la costruzione e animandola con un'accentuazione aguzza e asimmetrica. L'influsso stravinskiano si rivela inoltre in alcuni procedimenti caratteristici della scrittura compositiva quali ad esempio l'uso di note ribattute. Esso è parte di un più generale gusto per l'iterazione, sia essa di note, di tremoli o di ostinati di bicordi o accordi, che Petrassi accoglie nel suo linguaggio traendola, oltre che da Stravinsky, dal modernismo di Bartók o Prokofev. Anche l'ornamentazione e le figurazioni cadenzali contribuiscono alla ricerca di leggerezza e agilità dello stile pianistico delle Invenzioni. In Petrassi tali tratti idiomatici compaiono già nella Partita e attraversano tutta la sua produzione per pianoforte fino alle trame visive, pittoriche di Oh lesbeauxjours!. Essi hanno origine nell'attrazione giovanile per il melos chopiniano, per il cembalismo di Scarlatti ed infine per i sorprendenti ghirigori "neoclassici" di Stravinsky (si pensi all'«Adagietto» della Sonata del 1924 o alla Romanza della Serenata per pianoforte). Con la disarticolazione sintattica e la nuova ricerca lessicale sperimentata nella piccola dimensione formale delle Invenzioni, Petrassi si avvia dunque verso un rinnovamento stilistico. Questa mutazione comporterà il congedo dal pianoforte. Dopo questa raccolta, lo strumento scompare dalla tavolozza strumentale del compositore sia nelle partiture orchestrali, sia in quelle cameristiche. L'uso essenzialmente ritmico e percussivo della tastiera, alla quale si richiedevano linee nette, masse accordali squadrate, non risponde più alle nuove necessità creative. Certa monumentalità neoclassica, parallela alla concezione volumetrica di pittori che si richiamavano all'esperienza del gruppo «Novecento» quali Felice Casorati o Mario Sironi, non è più rispondente al mutato clima storico ed artistico. Anche in Petrassi i tragici eventi bellici determinarono una crisi umana ed intellettuale che minerà le premesse ideologiche del rappel à l'ordre neoclassico. D'ora in poi l'attenzione del compositore sí sposta verso il suono delle corde pizzicate, le aeree e filiformi sonorità armoniche del clavicembalo, dell'arpa o della chitarra e si rivolgerà al pianoforte per omaggio nostalgiche rievocazioni dutempsjadis. Né Petrassi appare interessato ad una riconcezione della scrittura o del timbro pianistici che si manifesta in quegli anni nelle Sonatas and Interludes (1946-48) di John Cage, nel Mode de valeurs et d'intensités (1949) di Olivier Messiaen o nei Klavierstiicke I-1V (1952-53) di Karlheinz Stockhausen. Il pianoforte rimane dunque uno strumento legato alla fase di formazione del compositore e al suo primo stile influenzato dall'estetica neobarocca a-più generalmente neoclassica. Con la crisi del neoclassicismo, apertasi negli anni della Seconda guerra mondiale ed evidente nelle Invenzioni per pianoforte, il mondo sonoro del musicista muterà virando verso un linguaggio più lieve ed astratto. Non a caso il pianoforte ricompare nel catalogo di Petrassi con la sola Petite pièce, scritta nel 1950, come delicato e spiritoso omaggio al giovane Marcello Panni, il cui stile rimane nell'orbita delle Invenzioni, e, nel 1976, con Oh lesbeauxjours!, (Bagatelle, Le petit chat (Miró)) dittico che rielabora, senza aggiungere nulla di particolarmente nuovo e originale, i due pezzi citati del 1942. Il titolo nostalgico della opera, ispirato a Happy Days di Samuel Beckett e a un quadro di Juan Miró della collezione di Petrassi, rievoca, quasi come un rossiniano e ironico peché de vieillesse, gli anni di gioventù e lo strumento che li aveva accompagnati.
Raffaele Pozzi
Scheda tecnica