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WOLFGANG AMADEUS MOZART (1756 -1791)

Sinfonia concertante in mi bemolle maggiore per quattro strumenti a fiato e orchestra d’archi KV 297 b

Solisti: Rota, Vernizzi, Borgonovo, Mariotti

Allegro (14'05")

Adagio (8' 17")

Andantino (8'55")

GEORG FRIEDRICH HÄNDEL (1685-1759)

Concerto in re minore op. 7 n. 4 per organo e orchestra

Solista: Ernesto Merlini

Adagio (5'30")

Allegro (6'52") a (5 '05") Ad Libitum (Adagio: quasi una fantasia)

Allegro (4' 57") 

JOHANN SEBASTIAN BACH (1685 -1750)

Concerto in re minore BWV 1060 per violino, oboe, archi e basso continuo

Solisti: Rizzi, Borgonovo

Allegro (4'57")

Adagio (5'25")

Allegro (4'02")

Durata: 1 h 03' 00"

Direttore di produzione Producer

Giulio Cesare Ricci

Direttore dell’incisione Recording Supervisor

Giulio Cesare Ricci

Ingegnere del suono Recording Engineer

Alessandro Orizio

Registrato nel mese di Maggio del 1987 presso il Teatro Grande in Brescia e la Basilica di Santa Maria delle Grazie in Brescia. 

Microfoni utilizzati: Schoeps Colette C 41. Processore PCM: Sony PCM-F 1. Preamplificatore microfonico EMT. Vcr Betamax Sony SL F1E e SL HF100EC. Vcr U-Matic: Sony DRM 200. PCM: Sony 1630. Audio Editor: Sony 1100 

WOLFGANG A. MOZART

Sinfonia concertante per quattro strumenti a fiato ed orchestra 

KV 297 b, Allegro - Adagio - Andantino

Senza dubbio meno conosciuta, meno usurata da discutibili esecuzioni, la splendida “Sinfonia concertante” KV 297 b -che Mozart scrisse, durante il soggiorno parigino, per un “Concert spirituel” nel 1778. In quegli anni a Parigi (come pure in Italia) persisteva un certo favore per il Concerto Grosso barocco, col suo alternarsi “Concertino” / “Ripieno”. In conseguenza erano molto gradite le cosiddette “sinfonie concertanti” nelle quali l’alternarsi dei solisti (sempre in numero di due o superiore) e dell’orchestra richiamava in certo qual modo la pratica barocca. Mozart stesso compose un'altra mirabile “Sinfonia concertante” per violino e viola, la KV 364. Sempre a Parigi era ancora vivo lo spirito “galante” della Scuola di Mannheim. Ed è per quattro solisti di Mannheim che Mozart compose la KV 297 b. Essa non venne mai eseguita nei '”Concerts spirituels”. Il perché è uno dei tanti enigmi che avvolgono molte delle opere di Mozart. La sorte della KV 297 b è sconcertante; ritenuta composizione fondamentale dai migliori e più reputati complessi di “fiati” succedutisi nel tempo, essa non solo non venne eseguita nei “Concerts spirituels”, ma l’autografo andò addirittura smarrito in circostanze mai chiarite. Concepita per essere eseguita da flauto, oboe, fagotto e corno, la versione pervenutaci indica il clarinetto al posto del flautoe reca tracce di poco discrete manomissioni; pur tuttavia essa resta opera riservata a strumentisti di altissima perizia e non sembra che abbia subito seri danni al contenuto musicale. L’Allegro iniziale è una introduzione stupenda. In esso il gruppo di solisti domina, mentre l’orchestra ha quasi mansioni di accompagnamento. Si noti, soprattutto, la “cadenza” sostenuta all’unisono dai quattro strumentisti che, con il loro virtuosismo, rivelano il vero carattere dell’opera. Ma è nel sublime Adagio che si offre ai solisti la possibilità di dimostrare tutta la loro maestria, la loro abilità, la loro perizia. L’Andantino, introdotto da un quartetto di strumenti a fiato, accompagnato daun “Tutti” in stile chitarristico, pone un tema che, in dieci variazioni, conduce al finale. Tutto il terzo tempo risente dell’influsso parigino: sia il tema che, con la sua piacevolezza, parrebbe appartenere ad una “opéra-comique”; sia il Ritornello che rammenta il Vaudeville. Solo l’ultima variazione, in tempo più lento, si trasforma in un solenne Adagio. Il brano si conclude, come d’uso, in maniera brillante. In sintesi, mentre primo e terzo movimento esprimono tutta la loro divertita vivacità d’eloquio, l’Adagio resta uno dei più sublimi esempi di elevazione spirituale. È ben conosciuta la cura, la sapienza con la quale Mozart impiegava ogni strumento dell’orchestra per utilizzarne al massimo le caratteristiche di “timbro”, di “colore”. Ebbene, anche quando, come in questa Sinfonia concertante i solisti sono quattro e praticamente costituiscono un’unità concertante, il carattere sonoro di ogni singolo strumento resta stupendamente individuato. 

Lamberto Limberti

GEORG FRIEDRICH HÄNDEL

Concerto in re min. -op. 7 n. 4 per organo e orchestra

Adagio - Allegro – Allegro

Se il cosmopolitismo “interiore” di Bach e la reale, effettiva apertura al mondo di Händel pongono i due massimi artefici del tardo barocco musicale su piani, personali ancor prima che estetici e musicali, diversi, i due maestri tedeschi furono accomunati in vita dalla loro grande fama di esecutori: per Bach, le cui musiche, vivente l’autore, furono troppo spesso misconosciute, l’unico punto di contatto con ciò che comunemente definiamo successo; per Handel uno dei molteplici aspetti del suo porsi nei confronti del pubblico europeo come personaggio poliedrico ed artista “alla moda”. EGeorg Friedrich Händel dovette essere senza dubbio un organista straordinario, secondo riferiscono le testimonianze dirette di Charles Burney e di sir John Hawkins, straordinari personaggi del ‘700 musicale inglese, entrambi amici di Händel, che a Londra conobbe fama e successo. Colpivano in particolare l’uditorio le mirabili doti di improvvisatore del musicista tedesco, sia negli “a solo” dei concerti che nel libero preludiare. Se si eccettuano le belle parole di Hawkins e Burney, rimangono a noi, testimoni di un’arte che tanto stupì i contemporanei, solo più i Concerti per organo e orchestra, una ventina in tutto. Un genere, quello del concerto per organo e orchestra, che, con poche eccezioni, nasce e muore con Handel. Particolare ed originale la genesi di queste opere, che Händel stesso eseguiva fra un atto e l’altro dei suoi Oratori, col che possiamo collocare questi concerti nel periodo londinese, quello appunto il musicista tedesco rinverdì nel genere dell'Oratorio la sua immensa fama di operista. Si è detto della straordinaria abilità di Händel come improvvisatore: orbene, non possiamo non ritenere che le partiture pervenuteci di questi concerti ci tramandino solo una parte, ancorché grande e significativa, dell'arte organistica händeliana, quasi scheletrici canovacci per il mirabile, libero e fantastico dipanarsi dell’improvvisazione che tanto soggiogava il pubblico londinese degli Oratori. Tuttavia la lettura e l’ascolto di queste partiture ci rivela particolari di sommo interesse: intanto lospirito improvvisativo è sostanza strutturale di queste musiche (il secondo movimento del concerto qui proposto, “Allegro”, è interamente “ad libitum”); ma soprattutto colpisce la brusca inversione di tendenza che con l’elegante e raffinata spregiudicatezza dell’artista al passo coi tempi Händel riesce ad imprimere all’organo, strumento che fin dai suoi albori era stato “medium” ideale per evocare e captare le mistiche profondità del servizio liturgico e che in questi concerti, ad opera di Händel, si secolarizza del tutto, fino a porsi sullo stesso piano del clavicembalo settecentesco, brillante ed estroverso: ne fa fede l’ambivalenza strumentale di queste composizioni (destinate “al clavicembalo ed all’organo”; uno di questi concerti, l’op. 4 n. 6, è scritto anche per arpa), che fanno massicciamente uso di agili stilemi esecutivi clavicembalistici, cui si aggiunge la generalizzata mancanza, salvo eccezioni, del pedale obbligato, sempre presente nella severa tradizione organistica tedesca, laddove invece gli organi inglesi al tempo di Handel erano generalmente sprovvisti di pedaliera. 

Francesco Iuliano

JOHANN SEBASTIAN BACH

Concerto in re min. BWV 1060 per violino, oboe, archi e basso cont.

Allegro - Adagio – Allegro

 

Solo di recente l’esegesi bachiana sta approdando a conclusioni che, se da un lato si stanno· dimostrando più vicine alla verità storica, d’altro canto non mancano di provocare una certa dose di smarrimento in chi ancora sia legato (e non sempre per propria ristrettezza di vedute) all’immagine che del Maestro di Eisenach ci ha tramandato un certo ‘800 tedesco il cui romanticismo beveva alle germanicissime fonti del misticismo e del nazionalismo. Questa “nuova immagine”, com’è ormai uso corrente definirla, fu strenuamente propugnata dal compianto Friedrich Blume e sta in questi anni trovando da noi un fiero paladino in Piero Buscaroli: tende a restituirci un Bach più “tenero”, sanguigno, verace, se non proprio le mille miglia almeno molto distante dal ritratto, ormai “retro” del fervido e fervente artigiano dei suoni tutto dedito ad offrire i suoi mirabili “manufatti”“soli Deo gloria”: non solo dunque divino artefice di sacre architetture musicali ma uomo tutt’affatto integro nel suo desiderio di pienezza vitale, financo di mondanità, se non proprio di galanteria. Dove forse la vecchia immagine di Bach esce più malconcia è proprio nella sua funzione di “Kantor” a Lipsia: le nuove ricerche sulla cronologia delle opere bachiane attestano infatti non solo che la sua fervida attività di compositore di cantate sacre si arrestò ben presto, ma che per moltedi queste opere sacre, Passioni comprese, Bach attinse a piene mani ad opere scritte in anni precedenti. Gli è che, oltre alla poca sopportazione della terribile “routine” compositiva cui per ragioni di servizio era costretto, Bach trovò assai stimolante la direzione, che assunse nel 1729, del Collegium Musicum di Lipsia, uno dei tanti consorzi musicali che fiorivano, e talora son vivi ancor oggi~ nell’Europa luterana: associazioni di musicisti, per lo più valenti strumentisti, che svolgevano la loro attività in concerti pubblici, anche nei caffè o nelle piazze. Quello di Lipsia vantava una nobile tradizione (era stato fondato da Telemann) e Bach vi si appassionò al punto di dedicarvi gran parte del suo temo anche sottraendone ai suoi doveri di “Kantor”. Fu proprio per questo Collegium Musicum che Bach operò attivamente come compositore, attirando su di sé le fiere rampogne dei suoi superiori alla Thomasschule per la scarsa cura con cui ormai espletava le sue funzioni: per il Collegium lavorò alacremente, in parte scrivendo “ex novo”, e in parte, soprattutto, riadattando per l’organico di cui disponeva opere, anche sacre, scritte in precedenza. È il caso del Concerto BWV 1060: la versione che qui viene presentata è una ricostruzione di quella che correntemente si ritiene essere la versione originale per violino, oboe, archi e basso continuo che è andata smarrita, mentre a noi è pervenuta solamente una tradizione per due clavicembali, archi e basso continuo che Bach elaborò proprio per i valenti clavicembalisti del Collegium Musicum, trasportandone in do minore l’originaria tonalità di re minore. Nulla sappiamo di preciso circa la strumentazione della versione originaria di cui quella che l’Orchestra del Festival ci propone qui è una ricostruzione, ma se accettiamo per buona, e non v’ha motivo di non farlo, la ricostruzione della versione con violino ed oboe solisti, e se supponiamo, come assai plausibile in virtù di una prassi nota e consolidata, che le due mani destre dei clavicembalisti realizzassero le linee monodiche dei due strumenti solisti originari, non possiamo non stupirci una volta di più di fronte alla straordinaria capacità di Bach di reagire a1la necessità pratica di mutare organico strumentale di una stessa opera, nello stesso tempo arricchendola di particolari e di mirabili soluzioni tecniche, compositive ed architettoniche. 

Francesco Iuliano

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